Qualche
settimana fa ho conosciuto Suspence. Non di persona, certo. L’ho incontrata per
caso in rete e poi sono andata a trovarla a casa sua, nel suo blog – una casa
grande, la sua, ben curata, non trascurata e angusta come la mia. E, con la
curiosità di una bambina un po’ annoiata che s’intrufola in un luogo sconosciuto
tutto da esplorare, leggo gli ultimi post – Suspence in Siria, una voce che
avrà pure paura ma che ha coraggio da vendere. Inizio a scorrere i post più
vecchi e mi perdo. Lei mi dice che in quella casa ci sono sette anni della sua
vita. E ripercorrerne ogni giorno è troppo doloroso. Già, il passato fa male. Bello
o brutto che sia, il passato fa male. Buona fortuna, mi dice. Ricomincio a
frugare in giro, apro i cassetti, li svuoto, leggo. La sua vita è un romanzo. Non
tutte le vite lo sono, ma la sua sì. Mi sono sempre immersa nei libri, nei
grandi classici, mi sono persa nella vita triste di Daisy Buchanan, nell’esistenza
peccaminosa di Anna Karenina, nella ribellione di Antoinette, nella
disperazione di Holly Golightly. Pensavo che emozioni così intense la
realtà non avrebbe potuto offrirmele. E invece, dalla casa di Suspence non
volevo più uscire. In quei cassetti ho ritrovato alcuni dei miei pensieri. Felice
di non essere la sola ad averli, felice di leggere di esperienze così lontane
da me eppure che mi riguardano così da vicino. Esperienze che non avrei il
coraggio di fare. Ma lei sì, Suspence sì.
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