Sento fresco alle gambe. Che goduria. Caldo invece sul resto del corpo - ma perché ho sempre caldo? La minigonna mi lascia scoperte le gambe. Sono seduta e ho caldo, la tiro un po' più su. E' di jeans, a pieghe. Simile a quella delle scolarette manga.
«Quelle che si mettono la gonna corta, lo stupro se lo
cercano»: mi torna in mente quella donna di mezza età in metro che, tempo fa,
lanciandomi occhiate furtive, sembrava non avere altro argomento di discussione
con la sua amica che non fosse il mio abbigliamento. Oppure: «Se tu ragazza ti
metti la mini, è chiaro che hai voglia di farlo» ho sentito un’altra volta da
un uomo. Forse nella tua mente perversa, avrei voluto rispondergli.
Più che le parole del maschio deviato, mi fanno specie
quelle della donna. Lei, che dovrebbe aberrare lo stupro. Lei, che dovrebbe
sentirsi male solo all’idea che venga usata la violenza per estorcere l’intimità
di una giovane. Lei che, tutt’al contrario, quasi giustifica una sorta di “violenza
punitiva”: tu mostri le gambe, le curve dei polpacci e le linee delle cosce?,
bene, allora il castigo te lo meriti. Con buona pace delle lotte di ieri e di
oggi per le libertà femminili. Mi chiedo se riusciremo mai a raggiungere l’emancipazione di
cui tutte parliamo. Non tanto quella sancita sulla carta che, tra belle parole
e vuote retoriche, tutte condividiamo, ma piuttosto – e soprattutto – quella più
difficile da ottenere: l’emancipazione impressa, quale parte costitutiva, nella nostra Weltanschauung. E quando
dico “nostra” intendo “di noi donne”. Perché, molto spesso, il vero ostacolo
alla nostra libertà siamo proprio noi.
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