domenica 25 dicembre 2011

Caro Babbo Natale, ti scrivo dal 1911

Chi da piccolo non ha mai preso in mano una biro e, la calligrafia incerta e il cuore ricolmo di speranza, ha scritto l'elenco dei doni che avrebbe voluto farsi portare da Babbo Natale? Chi non ha mai immaginato, fremendo nell'attesa, il simpatico vecchio frugare nel grande sacco della posta, estrarre quella lettera e leggerla compiaciuto?
E' quello che devono aver immaginato la piccola Hannah e il fratellino Fred quando presero un foglio e, come ogni bambino, scrissero i loro desideri a Santa Claus. Era il 1911.
La loro lettera è stata ritrovata di recente: una scoperta che ci fa assaporare il gusto di un dolce Natale antico. Così riferisce l'Irish Time:

Negli anni si sarà pure un po' bruciacchiata, ma la lettera a Santa Claus scritta cento anni fa e di recente ritrovata in un camino di Dublino non ha perso nemmeno un grammo della magia del Natale.
La Vigilia di Natale del 1911, nella loro casa di Oaklands Terrace, Terenure (o Terurnure, come scrissero i bambini) a Dublino, un fratello e una sorella, che si firmarono "A o H Howard", scrissero la loro personalissima lettera a Santa Claus, elencando i doni che desideravano ricevere senza dimenticare di augurargli buona fortuna.
La posero poi nel comignolo, di fronte alla camera da letto, di modo che Santa Claus, scendendo giù dal camino per entrare in casa Howard alle prime luci dell'alba, l'avrebbe di certo notata.
La lettera è stata scoperta nel 1992 da John Bryne, attuale abitante della casa, durante i lavori d'installazione del riscaldamento centralizzato. Da allora l'ha custodita quale ricordo di un'epoca passata, ma il segno inconfondibile dell'innocenza dei bambini è ben riconoscibile ancora oggi.
Il messaggio a Santa Claus era caloroso ed esplicito: "Voglio una bambola e un impermeabile con il cappuccio e un paio di guanti e una mela candita e un penny d'oro e un sixpence d'argento e un grande toffee".
La casa ha cambiato proprietari più e più volte nel corso degli anni - la famiglia Bryne vi si è trasferita nel 1961 - ma la lettera è riuscita a sopravvivere.
"All'epoca i camini erano fatti di mattoni e avevano una mensola su ogni lato" ha detto John Bryne, che lavora nel settore dell'edilizia. "E la lettera era proprio su una di quelle mensole."
Solo un po' bruciata dal fuoco acceso in tutti questi anni, la lettera è rimasta sorprendentemente intatta e, oltre alle richieste di regali a Santa Claus, i bambini non hanno dimenticato di abbellirla con dei disegni e di scrivere un augurio di buona fortuna rivolto al destinatario.
Secondo il censimento del 1911, nell'anno in cui venne scritta la lettera abitavano a quell'indirizzo tre bambini. I due più piccoli, Hannah, 10 anni, e Fred (forse diminuitivo di Alfred), 7, sembrerebbero gli autori della lettera: i loro nomi corrisponderebbero, infatti, alle iniziali usate nella firma.
[Da: Dear Santa Letter sent 100 years ago found up chimney, Irish Time. Traduzione di Annie and the cherry]

sabato 17 dicembre 2011

C’era una volta Storybrooke


C’era una volta, anzi c’è ancora una cittadina nel Maine, un’isola felice dove la vita scorre silenziosa. I cittadini vivono tranquilli e appagati, assopiti nella loro quotidianità. Tutto a Storybrooke pare immobile, immutabile. Come in un vecchio libro di fiabe. Solo l’intuito, fantasioso e puro, di un bambino si agita inquieto: Storybrooke nasconde un mistero favoloso. Incredibile a pensarci: i suoi abitanti sono i personaggi delle fiabe che tanto amiamo, scaraventati nella nostra realtà dalla maledizione di una perfida regina. Le vite amene ed eterne di Biancaneve, del Principe Azzurro, di Tremotino e degli altri sono state ridotte in frantumi, i loro ricordi repressi negli antri più reconditi della memoria. Il piccolo Henry sa che esiste un solo modo per spezzare l’incantesimo: la forte e disillusa Emma è l’unica speranza, la speranza che Storybrooke ha di tornare a vivere.


Con Once Upon A Time, l’era sanguinosa delle serie TV dedicate ai vampiri tramonta ufficialmente, lasciando il posto al mondo incantato delle fiabe, ritratte qui in tutta la loro magia e modernità. Una serie TV che non si può non definire geniale. L’immaginario si intreccia con il reale in maniera tanto perfetta e costante che l’uno sembra il proseguimento o la logica conseguenza dell’altro. In una cittadina dove solo lo sguardo profondo di un bambino riesce a mostrarci la realtà oltre la realtà, si muovono personaggi ideati ad arte: una Capuccetto Rosso sexy e trash che serve ai tavoli da Granny’s, un avido Tremotino che riscuote gli affitti di tutta la città, il sindaco Regina che domina incontrastata su Storybrooke, e con loro tante altre creature fantastiche impegnate a condurre vite paradossalmente normali. Tutto in Once Upon A Time – dai nomi dei personaggi alle vicende, dalle intricate relazioni umane ai grovigli d’amore – è creato con intelligenza e acume. Ogni episodio è un prezioso tassello del grande puzzle delle fiabe che regala allo spettatore insperati colpi di scena e lo rende partecipe di una mirabile storia capace di stregarlo e ammaliarlo, facendolo quasi vivere in un sogno, sospeso tra realtà e fantasia. Dopotutto, come ci insegna l’enigmatico Mr. Gold, «si dice che i sogni siano ricordi, ricordi di un'altra vita». Benvenuti a Storybrooke.


 [Immagine modificata da Annie and the cherry]



lunedì 12 dicembre 2011

Verso casa

Purtroppo non conosco la letteratura svedese. Il paese di ghiaccio e neve, dalla gente cordiale e dai dolci traboccanti di cannella, mi ha sempre affascinato: a volte mi ritrovo a fantasticare organizzando nella mia mente un nuovo viaggio in quella terra magica e suggestiva, animata da antiche tradizioni e da una ricca mitologia. Stamattina, invece, ho provato a immaginare il suono della lingua e, in particolare, come deve suonare in svedese la poesia Verso casa (traduzione Franco Buffoni) del Premio Nobel 2011 per la Letteratura, il poeta Tomas Tranströmer.

Verso casa
Corse fuori nella notte la telefonata rifulgendo in campagna e nelle periferie. 
Poi dormii preoccupato nel mio letto d’albergo.
Somigliavo all’ago di una bussola portato nel bosco da un fondista col cuore palpitante.



sabato 10 dicembre 2011

Creatività di Natale

Gli origami mi sono sempre piaciuti. Quelle poche volte che in passato mi ero cimentata nella realizzazione di qualche piccola opera d'arte cartacea, però, avevo sempre ottenuto risultati molto deludenti e alla fine avevo deciso che la nobile arte giapponese non faceva per me. Finché l'altro giorno, vagando per la Rete, ho trovato Folding Trees, un sito molto interessante con tutorial davvero ben fatti. Una loro creazione mi ha particolarmente colpito: si chiama Kasudama e consiste in un'esplosione di fiori. Ho deciso di realizzarne una in versione natalizia così da poter adornare un po' la cucina. Utilizzando i colori tipici di questo periodo (rosso, oro, blu, verde), ho realizzato un fiore:





Poi tanti altri:



E infine li ho incollati insieme, in una vera e propria meteora di colori:



Un'attività rilassante e ricca di soddisfazioni. Un'esperienza da ripetere al più presto!

mercoledì 30 novembre 2011

Dai, Tom, lascia pitturare un po' me.

C'è poco da fare: in fatto di ricorrenze, Google non manca un colpo. Sempre attento a ricordare anniversari e avvenimenti importarti, deliziando gli internauti con meravigliosi Doodle, oggi ci ha annunciato che il 30 novembre di 176 anni fa nasceva Mark Twain, il papà di Tom Sawyer e Huck Finn, i ragazzini più scapestrati e più amati della letteratura: l'uno intento a seguire un codice d'onore per veri pirati (d'altronde è questo il dovere del temibile Black Avenger of the Spanish Main!), mentre l'altro si lascia trascinare dalla corrente delle avventure lungo il maestoso Mississipi insieme all'amico Jim.

Per celebrare l'anniversario della nascita di Twain, Google ha riproposto a modo suo una delle scene più memorabili della letteratura americana che vede lo scaltro Tom (e non Huck, come un certo sito saputello ha scritto nel commento al Doodle) alle prese con il noioso compito di pitturare la staccionata. Io ho scelto di celebrare Mr. Clemens riportando il famoso brano così come lui l'ha scritto, con tutta l'immediatezza e l'armonia che contraddistingue la sua scrittura. Perché, ammettiamolo, leggere un autore del calibro di Twain in lingua originale è sempre un piacere inestimabile.

But Tom's energy did not last. He began to think of the fun he had planned for this day, and his sorrows multiplied. Soon the free boys would come tripping along on all sorts of delicious expeditions, and they would make a world of fun of him for having to work -- the very thought of it burnt him like fire. He got out his worldly wealth and examined it -- bits of toys, marbles, and trash; enough to buy an exchange of WORK, maybe, but not half enough to buy so much as half an hour of pure freedom. So he returned his straitened means to his pocket, and gave up the idea of trying to buy the boys. At this dark and hopeless moment an inspiration burst upon him! Nothing less than a great, magnificent inspiration.
He took up his brush and went tranquilly to work. Ben Rogers hove in sight presently -- the very boy, of all boys, whose ridicule he had been dreading. Ben's gait was the hop-skip-and-jump -- proof enough that his heart was light and his anticipations high. He was eating an apple, and giving a long, melodious whoop, at intervals, followed by a deep-toned ding- dong-dong, ding-dong-dong, for he was personating a steamboat. [...] 
Tom went on whitewashing -- paid no attention to the steamboat. Ben stared a moment and then said: "Hi-YI! YOU'RE up a stump, ain't you!"
No answer. Tom surveyed his last touch with the eye of an artist, then he gave his brush another gentle sweep and surveyed the result, as before. Ben ranged up alongside of him. Tom's mouth watered for the apple, but he stuck to his work. Ben said:
"Hello, old chap, you got to work, hey?"
Tom wheeled suddenly and said:
"Why, it's you, Ben! I warn't noticing."
"Say -- I'm going in a-swimming, I am. Don't you wish you could? But of course you'd druther WORK -- wouldn't you? Course you would!"
Tom contemplated the boy a bit, and said:
"What do you call work?"
"Why, ain't THAT work?"
Tom resumed his whitewashing, and answered care- lessly:
"Well, maybe it is, and maybe it ain't. All I know, is, it suits Tom Sawyer."
"Oh come, now, you don't mean to let on that you LIKE it?"
The brush continued to move.
"Like it? Well, I don't see why I oughtn't to like it. Does a boy get a chance to whitewash a fence every day?"
That put the thing in a new light. Ben stopped nibbling his apple. Tom swept his brush daintily back and forth -- stepped back to note the effect -- added a touch here and there -- criticised the effect again -- Ben watching every move and getting more and more interested, more and more absorbed. Pres- ently he said:
"Say, Tom, let ME whitewash a little."
Tom considered, was about to consent; but he altered his mind:
"No -- no -- I reckon it wouldn't hardly do, Ben. You see, Aunt Polly's awful particular about this fence -- right here on the street, you know -- but if it was the back fence I wouldn't mind and SHE wouldn't. Yes, she's awful particular about this fence; it's got to be done very careful; I reckon there ain't one boy in a thousand, maybe two thousand, that can do it the way it's got to be done."
"No -- is that so? Oh come, now -- lemme just try. Only just a little -- I'd let YOU, if you was me, Tom."
"Ben, I'd like to, honest injun; but Aunt Polly -- well, Jim wanted to do it, but she wouldn't let him; Sid wanted to do it, and she wouldn't let Sid. Now don't you see how I'm fixed? If you was to tackle this fence and anything was to happen to it --"
"Oh, shucks, I'll be just as careful. Now lemme try. Say -- I'll give you the core of my apple."
"Well, here -- No, Ben, now don't. I'm afeard --"
"I'll give you ALL of it!"
Tom gave up the brush with reluctance in his face, but alacrity in his heart. And while the late steamer Big Missouri worked and sweated in the sun, the retired artist sat on a barrel in the shade close by, dangled his legs, munched his apple, and planned the slaughter of more innocents. There was no lack of material; boys happened along every little while; they came to jeer, but remained to whitewash. By the time Ben was fagged out, Tom had traded the next chance to Billy Fisher for a kite, in good repair; and when he played out, Johnny Miller bought in for a dead rat and a string to swing it with -- and so on, and so on, hour after hour. And when the middle of the afternoon came, from being a poor poverty-stricken boy in the morning, Tom was literally rolling in wealth. He had besides the things before mentioned, twelve marbles, part of a jews-harp, a piece of blue bottle-glass to look through, a spool cannon, a key that wouldn't unlock anything, a fragment of chalk, a glass stopper of a decanter, a tin soldier, a couple of tadpoles, six fire-crackers, a kitten with only one eye, a brass door- knob, a dog-collar -- but no dog -- the handle of a knife, four pieces of orange-peel, and a dilapidated old window sash.
He had had a nice, good, idle time all the while -- plenty of company -- and the fence had three coats of whitewash on it! If he hadn't run out of whitewash he would have bankrupted every boy in the village.
Mark Twain, The Adventures of Tom Sawyer, 1876 


domenica 27 novembre 2011

Variazioni sul tema

I giorni scorsi, in occasione della settimana dedicata all'infanzia, mi è capitato più volte di perdermi su internet, tra YouTube e Google Immagini, richiamando alla mente i cartoni animati che guardavo da piccola. Vagando per la rete, ho trovato una serie di immagini che mi hanno ricordato gli Esercizi di stile di Queneau in versione animata.
Chi non ricorda la dolcissima scena tra Lilly e il Vagabondo, in cui un filo di spaghetti unisce i due innamorati, mentre i loro occhi si incrociano più eloquenti di mille parole?





Tenerissimi i due cagnolini. Dall'aria triste, invece, i due cani eroi, Balto e Jenna, stanchi e provati dalle avversità che sono chiamati ad affrontare:




Mentre furbetti e giocosamente distratti sono Pepe le Pew e la sua sfuggente micina, armati di forchette e inesorabilmente prossimi a un gustossimo bacio:




venerdì 25 novembre 2011

Donne rosso sangue





Non è impresa ardua scovare sui giornali notizie che parlano di donne. I corpi seminudi di starlet e modelle occupano quasi ogni pagina, adornate da qualche riga pretestuosa su una presunta gravidanza, un nuovo flirt o idiozie varie. 
Ci sono, poi, altre notizie. Notizie che fanno rumore, che generano disgusto, di cui molti preferiscono fingere di non accorgersi: sono le storie di donne e ragazze violentate, sfregiate, picchiate, ridotte all'invalidità, costrette alla disperazione e alla sofferenza; donne e ragazze come tutte noi, che non occupano i paginoni delle riviste patinate, che non suscitano il clamore dei media, ma le cui storie macchiano i giornali di un indelebile rosso sangue. Un rosso che è un pugno nell'occhio, lo stesso pugno che le ha ferite e umiliate.
Troppo spesso, le loro urla di terrore vengono represse da una società sempre più ipocrita che, ancora oggi, ha l'ignobile coraggio di affermare che "se indossi la minigonna, allora lo stupro te lo stai andando a cercare", che la ragazza violentata dagli uomini del paese a San Martino di Taurianova è una "malanova" (leggi: poco di buono), che tanto "siete tutte puttane" (questo il commento postato da un essere maschile in risposta a un post su Facebook che celebrava la Giornata Mondiale contro la Violenza sulle Donne).
Per non parlare delle donne sudafricane "guarite" a suon di stupro dalla loro omosessualità, o delle donne che vivono in zone di guerra costrette a subire i più atroci soprusi da parte dei militari, o delle donne di certi Paesi islamici lapidate per un tradimento o punite per il solo fatto di essere belle.


Storie raccapriccianti che non devono più passare sotto silenzio.



[Il manifesto della campagna promossa da Amnesty International recita: Stuprare costa meno dei proiettili.Nelle zone di guerra di tutto il mondo, i comandanti militari usano lo stupro per terrorizzare, umiliare e demoralizzare comunità intere. L'impegno di Amnesty International è volto a fermare l'uso dello stupro come arma da guerra.]

venerdì 18 novembre 2011

Senza suoni


Ogni mattina, seduta sul treno freddo della metropolitana, mi diverto a osservare sbirciando da sopra il libro una bambina di due anni: traboccante di una vitalità che solo i piccoli hanno a quell’ora presto, intenta a declamare seria gli importanti discorsi tra i suoi Barbapapà, concentrata a rimboccare da brava donnina la coperta al fratello seduto sul passeggino cantandogli anche una squillante ninna nanna perché «fuori è buio e quando c’è buio i bambini piccoli devono dormire», oppure impegnata a versare nelle mani del padre un bel bicchiere di Coca Cola con tanto di cubetti di ghiaccio, solo un bicchiere però perché la Coca Cola fa male.

Ogni mattina osservo incantata il portento di una piccola che dà la parola al suo mondo fantastico, al minuscolo e sconfinato universo in cui trasferisce la realtà.

Stamattina quella bambina non c’era. Il suo posto sul treno era occupato da un’altra bambina, un’esplosione di ricci biondi e il blu degli occhi che spiccava sul colorito pallido. Le sue mani hanno attirato la mia attenzione: si muovevano agitate, su giù destra sinistra. Non erano movimenti casuali, però: ogni gesto esprimeva una parola, un concetto. E la sua bocca accompagnava, spalancandosi e sorridendo, quel racconto concitato. Una bambina immersa nel silenzio. In un frastuono senza suoni. L’ho immaginata impotente a chiedere aiuto; l’ho immaginata incapace di avvertire un pericolo se non quando è troppo tardi. Ho immaginato il suo mondo svuotato di rumori eppure – a guardarla nei suoi gesti – ricolmo di storie da raccontare.

Ho sentito una lacrima sgorgare dagli occhi. Every tear is a waterfall, cantano i Coldplay. In questo caso sì, è proprio così.

martedì 15 novembre 2011

Non posso, non voglio e non devo dimenticare

In mezzo a tutte le scemenze che intasano la mia home su Facebook - tra cui anche quelle che pubblico io -, ieri pomeriggio è apparso anche un post che mi ha molto colpito. Proveniva dalla fan page ufficiale di Pif: si trattava di un video dal titolo "Non posso, non voglio e non devo dimenticare", uno spezzone della puntata Orfani di mafia della sua interessantissima trasmissione Il testimone (una delle poche trasmissioni che vale la pena guardare e che si distingue dalla massa indistinta di programmi spazzatura per intelligenza e sagacia del conduttore e per profondità dei temi trattati). Il video era accompagnato da due frasi semplici e lapidarie:
29 anni fa veniva ucciso Calogero (Lillo) Zucchetto.Non riesco a trovare le parole esatte per descrivere la mia immensa stima perquest'uomo.
Lillo Zucchetto - ci dice il video - è stato una vittima della mafia. Il giovane, freddato nel 1982 all'età di 27 anni, era un poliziotto impegnato a setacciare, in sella al suo motorino, le strade di Palermo per scovare i latitanti mafiosi.
Un volto tra tanti, una vittima tra tante. Un eroe sconosciuto. Celebrato solo da una targa posata nella città di Palermo. Un eroe che viene dimenticato troppo spesso. E come lui, molti altri.

E mentre il TG5 delle 20.00 dedicava ieri, poco prima della diretta del Grande Fratello, un servizio a Pietro Taricone, celebrandolo con un video commemorativo in cui se ne esaltavano doti e prodezze e in cui si sottolineava la grande perdita, mi chiedevo perché il mondo reale degli eroi di tutti i giorni è sempre oscurato dal mondo dei riflettori e delle starlet, perché i giornali e i telegiornali danno spazio sempre e solo a chi è famoso, e perché la gente ha costantemente bisogno di sentir parlare di celebrità o presunte tali. In sostanza, mi chiedevo, perché Taricone sì e Zucchetto no? Forse perché Taricone è "entrato nei cuori di tutti noi", come amano dire i giornalisti, mentre Zucchetto è stato talmente anonimo che la sua morte non vale la pena di essere ricordata agli italiani?


E' per questo che ieri il video postato da Pif mi ha molto colpito. Mentre tutti sono in altre faccende affaccendati, troppo impegnati per guardare oltre, mi piace l'idea che qualcuno ci riporti - con un gesto piccolo, ma molto forte - alla realtà. Mi piace sapere che c'è qualcuno che sa apprezzare le storie di chi merita davvero di essere chiamato eroe. E le condivide.


[Video Orfani di mafia è disponibile qui]

lunedì 14 novembre 2011

The Vampire Diaries: "Homecoming", ovvero Il lato buono del male

La terza stagione di The Vampire Diaries è arrivata venerdì scorso alla sua ultima puntata prima della pausa invernale. Homecoming ci ha svelato il lato umano di Klaus, ma ha anche confermato la sua grande astuzia e il suo innegabile carisma. Una nuova faida inizia a prendere forma: "I will kill you and everyone you've ever met" urla inferocito l'ibrido Originario a uno Stefan tracotante. Un sensazionale capovolgimento di fronti: i due ex "alleati" sono ora l'un contro l'altro armati. La situazione si fa pericolosa e... molto gustosa! La vendetta di Klaus non me la perderei per nulla al mondo!


In attesa della puntata numero 11 che andrà in onda a gennaio, ecco la cronaca a due voci di questa settimana.



sabato 12 novembre 2011

La nostra Italia è una cosa meravigliosa

Sono sempre molto critica verso il mio Paese e, data la situazione politica ed economica di questo periodo, anche abbastanza sfiduciata. Mi sembra che l'intera nazione sia intrappolata in un tunnel buio: non può tornare indietro, ma solo andare avanti. E man mano il buio si fa più pesto; la fine del tunnel non è che un puntino luminoso all'orizzonte che, a ogni passo avanti, sembra allontanarsi un po'. 
E' per questo che mi piace stare ad ascoltare Roberto Benigni. Mi piace sentirlo tessere le lodi del mio Paese, mi piace sentirmi ricordare quanto è stata ed è magnifica l'Italia, mi piace ascoltare qualcuno che, elogiando la Cultura, lancia un messaggio di positività e speranza, mi piace che qualcuno mi ricordi che la mia è l'unica Nazione al mondo in cui è nata prima la Cultura e poi lo Stato. Credo che mi faccia bene. E credo che faccia bene a tutti. E' vero che non si vive delle glorie del passato, ma giova ricordare quante e quali sfide il nostro Paese ha dovuto affrontare nel corso della sua storia, quanti e quali momenti bui i nostri antenati hanno dovuto superare, quante e quali meraviglie hanno saputo creare. 
Che la storia d'Italia ci serva da stimolo. Che ci aiuti - per dirla con Dante - a uscire a riveder le stelle...

[Video di Roberto Benigni al Parlamento Europeo versione breve e versione lunga]




mercoledì 9 novembre 2011

È la stampa, bellezza!

Le disastrose immagini di Genova sono in questi giorni sotto gli occhi di tutti: strade tramutate in veri e propri fiumi, il fango che invade androni e negozi, cantine diventate trappole mortali. Una calamità naturale (evitabile?) che si è trasformata in tragedia: alcuni morti, tra cui giovani e bambini. Un dolore verso cui tutti siamo tenuti al massimo rispetto. O meglio: dovremmo esserlo. Non tutti infatti sembrano trattare con il giusto riguardo gli avvenimenti di Genova. E non mi riferisco solamente alle razzie di finti spalatori. Mi riferisco anche - e soprattutto - ad altri sciacalli che appaiono in video ben vestiti e composti e che si presentano a noi sbandierando il vessillo dell'informazione. 
I telegiornali e la carta stampata hanno trasmesso e pubblicato per giorni immagini apocalittiche, raccontando - accanto alla cronaca dei fatti - storie commoventi di giovani vite spezzate. Fin qui tutto bene. Peccato che, ancora una volta, i nostri giornalisti siano parsi più attratti dall'aspetto eclatante e spettacolare della vicenda più che dai fatti in sé e per sé. Invece di documentare in maniera seria il disastro, molti TG e quotidiani hanno preferito dare spazio alla spettacolarità dell'informazione, pubblicando o mandando in onda reportage strappalacrime al limite del patetico. Come è ormai abitudine consolidata, d'altronde: non appena balza agli onori della cronaca un omicidio, una tragedia, un'esplosione, un crollo e chi più ne ha più ne metta, spunta immancabile un qualche sciacallo dell'informazione che propina agli italiani un servizio "spettacolare" sulle vittime, con tanto di colonna sonora triste, immagini struggenti e fotografie inedite. Il tutto per rendere più eclatanti le notizie, perché - si sa - una notizia eclatante fa più ascolti e piace di più. E così, in nome degli ascolti, i nostri giornalisti che, credo sia opportuno sottolinearlo, sono la fonte attraverso cui conosciamo i fatti che accadono in Italia e nel mondo, arrivano anche ad architettare vergognosi stratagemmi. Ieri e l'altro ieri, Striscia la Notizia - forse l'unico TG degno di questo nome - ha mandato in onda due servizi ("I TG e l'alluvione di Genova" e "Deformazione professionale al TG3") che testimoniano i taroccamenti che alcuni telegiornali hanno propinato ai telespettatori: filmati adattati, immagini d'archivio spacciate per attuali, fotografie rubate ad altri episodi di cronaca. Insomma, la solita disinformazione all'italiana.
D'altra parte, cosa possiamo aspettarci da mezzi busti dell'informazione che arricchiscono l'edizione serale lanciando un servizio su importantissime questioni che tolgono il sonno agli italiani: "Belen è incinta?" oppure "La Canalis ha un nuovo fidanzato?".
Forse dobbiamo iniziare a fare piazza pulita di un certo modo spazzatura di fare giornalismo. Sì, proprio noi: perché siamo noi telespettatori ad avere il potere. Cambiamo canale!

domenica 6 novembre 2011

The Vampire Diaries: "Ordinary People", ovvero Come tutto ebbe inzio

E' di oggi l'appuntamento settimanale della mia rubrica Cronaca a due voci, pubblicata dal sito The Vampire Diaries Love. L'episodio 3x08 di The Vampire Diaries ci conduce indietro nel tempo, all'epoca dei vichinghi, in un terra nuova, incontaminata e un po' magica. Proprio lì ebbe inizio la stirpe originaria; proprio lì nacque la razza dei vampiri. Klaus, Elijah, Rebekah e il temibile Mikael: un patto tra fratelli, un padre che urla vendetta, un ibrido che vuole dare libero sfogo alla sua vera natura. Una puntata assolutamente mozzafiato.
Leggete qui la Cronaca di questa settimana.



sabato 5 novembre 2011

Questo ho sempre sognato, Mr. Bones.

Tradurre è il mio mestiere. Un mestiere faticoso e non sempre appagante, che si tramuta in privilegio quando ci si ritrova faccia a faccia con i grandi autori di ieri e di oggi. Il mio scrittore preferito è Paul Auster: leggo sempre volentieri i suoi romanzi, ne apprezzo lo stile e i temi e rimango ogni volta affascinata dalla sua scrittura, semplice e luminosa, ma capace di condurre il lettore a vere e proprie epifanie. Tuttavia, mi dispiace che i lettori italiani siano costretti a conoscere Auster attraverso traduzioni che sono, in generale, molto scadenti (un esempio fra tanti: Viaggi nello scriptorium, una traduzione abominevole! Consiglio a tutti di leggere le opere di Auster in lingua originale).
Tra i romanzi di Auster Timbuktu mi ha colpito particolarmente. La storia di un cane, il cui padrone, Willy G Christmas, è un senzatetto dalla vita sregolata - un po' poeta, un po' giramondo e un po' visionario -, convinto che Mr. Bones (così si chiama il fedele animale) possa imparare a comprendere il linguaggio degli uomini. Mr. Bones ascolta partecipe i lunghi monologhi dell'amato poeta, lo guarda negli occhi e, sebbene non possa rispondegli a parole, interiorizza tutto quello che lui dice. Di seguito uno stralcio tratto da uno dei discorsi di Willy. Un invito che Paul Auster, per bocca del suo riuscitissimo personaggio, lancia a tutti noi. Un invito che ho deciso di accettare e di diffondere.
Questo ho sempre sognato, Mr. Bones. Rendere il mondo un posto migliore. Portare un po’ di bellezza alla monotonia, agli angoli tediosi dell’anima. Puoi farlo con un tostapane, puoi farlo con una poesia, puoi farlo tendendo la mano a un estraneo. Non importa la forma. Lasciare il mondo un po’ meglio di come l’hai trovato. Questa è la cosa migliore che un uomo può fare.
Paul Auster, Timbuktu, traduzione mia (c).
 Thank you, Mr. Auster.



giovedì 3 novembre 2011

Ringer: il gioco dei doppi per sfuggire alla morte

Apprezzo Sarah Michelle Gellar da quando vestiva i panni della combattiva Buffy: intraprendente e agilissima (ricordo di aver letto che non usava controfigure per compiere le acrobazie di Buffy!), sapeva coniugare nel personaggio dell'ammazzavampiri la durezza del guerriero e la femminilità che la contraddistingue. L'ho sempre reputata una ragazza molto bella e una brava attrice e mi dispiaceva aver perso da qualche tempo le sue tracce, sparita, come mi sembrava, da cinema e televisione. E' per questo che sono rimasta molto sorpresa quando, poche settimane fa, ho letto il suo nome nel cast di una nuova serie TV intitolata Ringer. Un noir ambientato nella Grande Mela che vede come protagonista la Gellar nel duplice ruolo di Bridget e Siobhan, gemelle identiche nell'aspetto ma diversissime nel carattere. Dopo anni di separazione tra le due sorelle, la dolce e sfortunata Bridget si ritrova a vivere la vita della perfida e algida Siobhan che lei crede morta suicida. La sorella povera che prende il posto della sorella ricca, insomma: una rivisitazione in chiave moderna del romanzo Il principe e il povero di Mark Twain, in cui però - almeno per ora - non si intravede un lieto fine. Anzi! La vita della povera Bridget non è mai stata semplice: spogliarellista in un night, appena uscita dal devastante tunnel della droga, unica testimone oculare di un omicidio e con il killer alle calcagna seriamente intenzionato a uccidere anche lei, Bridget scoprirà ben presto che la vita dell'amata Siobhan - moglie di un uomo d'affari affermato e possidente - è ben più intricata e sconvolgente della sua.
La Gellar è abilissima nel mostrare le mille sfaccettature delle gemelle, nel delineare il carattere dell'una e dell'altra, facendo emergere le loro diversissime personalità negli atteggiamenti e nelle più sottili espressioni del viso. Il tutto immerso nella raffinata atmosfera dei fascinosi quartieri alti di New York, dove le luci sfavillanti nella notte e le strade brulicanti di persone di giorno contribuiscono ad accrescere il mistero e la sensazione di precarietà e complotto in cui vive - e di cui è per certi versi responsabile - l'impavida Bridget.
Una serie TV ricca di suspense: e come potrebbe essere altrimenti quando si vive la vita di un'altra persona, stando sempre all'erta per non essere scoperti? Quando si vive nascondendo il più grande dei segreti - una falsa identità - con il solo scopo di diventare invisibili, di sparire per non farsi trovare da chi non vuole altro che la nostra morte?



mercoledì 2 novembre 2011

Quando il leone fa tendenza

Stamattina mi è stato consigliato l'articolo L'ultimo ruggito di tigri e leoni pubblicato ieri nell'edizione online del quotidiano La Repubblica. L'articolo, che porta la firma della giornalista Dusi, offre un resoconto ricco di spunti di approfondimento sull'ormai drammatica situazione dei grandi predatori africani che, insieme a squali e lupi, non sembrano godere di rosee prospettive di vita. Al contrario, sottolinea l'articolo, sembra proprio che abbiano gli anni contati. Sai che novità! Da anni gli scienziati lanciano allarmi rossi e i loro studi pubblicati sulle riviste specialistiche assomigliano sempre più a oracoli funesti o presagi di imminenti sciagure naturali. E come dar loro torto? La situazione per molte specie animali (non solo grandi predatori, ma anche rettili, pesci, uccelli e altri mammiferi) è davvero giunta a un punto di non ritorno. Il problema è che i 7 miliardi di umani non l'hanno ancora capito. Non tutti, ovviamente: lodevole è il lavoro svolto da ONG, gruppi volontari e fondazioni di ogni genere e sorta che si impegnano nella salvaguardia del mondo animale (a questo proposito, segnalo il Cheetah Conservation Fund attivo nella protezione dei ghepardi con sedi in Namibia e in tutto il mondo). Tuttavia, gli sforzi di queste associazioni, seppur proficui e assolutamente necessari, mi ricordano l'effetto ottenuto da chi vuole colmare un pozzo con granellini di sabbia. Purtroppo, la maggior parte degli umani non è pienamente cosciente della condanna a morte a cui sono destinate alcune specie. Per giunta, mi sono resa conto che molti sbandierano termini e slogan come: "salvaguardia", "no all'estinzione", "aiutiamo i leoni", ecc. ecc. non tanto per reale sensibilità nei conforti della problematica o per vero interesse nel preservare la biodiversità e la vita selvaggia, quanto piuttosto per moda, come se la protezione delle specie a rischio fosse uno dei tanti argomenti da salotto da sfoggiare in occasione di party super trendy per fare la figura degli intellettuali.
D'altronde, cosa possiamo aspettarci da chi dice di amare i cani e poi li sottopone a interventi di lifting per farli apparire più cool, o da chi si dice estasiato davanti alla bellezza del regno animale e poi trascorre allegri pomeriggi allo zoo o al circo, dove animali selvaggi vengono detenuti in gabbie più o meno misere o vengono costretti a esibirsi in acrobazie più o meno idiote?
Troppo spesso si continua a concepire gli animali come una moda, come esseri da esposizione simili ai peluche che teniamo sul letto, e a non capire che zoo, parchi safari e circhi alterano l'indole e gli istinti degli animali; troppo spesso si continua a non comprendere la reale portata del problema, credendo che l'estinzione sia solo un problema degli animali; troppo spesso si continua a speculare sulla pelle degli animali e a porre in primo piano esclusivamente gli interessi economici. Finché non si prenderanno davvero a cuore le problematiche del mondo animale, non credo che si giungerà a soluzioni tangibili su scala globale.
Eppure la salvaguardia del regno animale, così come quello vegetale, riguarda anche i 7 miliardi di umani. Ricordo che in una puntata della scorsa edizione di Missione Natura, il biologo Vincenzo Venuto aveva usato una brillante metafora per spiegare la problematica: le specie animali e vegetali sono come le viti che tengono salde le ali all'aereo; potranno anche sembrare aggeggini insignificati, ma se queste viti man mano saltano o si rompono, anche l'aereo è destinato a precipitare.



martedì 1 novembre 2011

7 Billion

La notizia è rimbalzata da un capo all'altro del nostro affollatissimo globo: la popolazione mondiale ha raggiunto ieri i 7 miliardi di abitanti. Una cifra stratosferica se si pensa che solo pochi anni fa abbiamo festeggiato la nascita del bambino numero 6 miliardi. E se da una parte è scattata la gara per stabilire tra i tanti nati il "7th billion baby" ufficiale, dall'altra ci si chiede se il pianeta Terra riuscirà a reggere un tale e costante incremento della popolazione che, secondo le stime, supererà quota 9 miliardi nel giro dei prossimi quarant'anni. Mentre scienziati e demografi cercano di individuare le possibili problematiche e di dare possibili soluzioni analizzando tassi di fertilità e di mortalità, durata della vita e altre variabili, i mass media - come al solito - riportano in generale solo il lato "più curioso" e "gossipparo" della questione. Ieri sera uno dei telegiornali più seguiti del nostro Paese ha parlato diffusamente dei neonati che si contendono l'ambito primato, di India e Cina che stanno diventando - buon per loro - sempre più affollate e ricche grazie ai loro meriti industriali e richezze economiche. Purtroppo però, mi è dispiaciuto constatare che nemmeno una parola è stata spesa per il continente più povero e martoriato: l'Africa, straziata da guerre vecchie e nuove, da piaghe, siccità e dal nemico numero 1: l'AIDS. In un continente dove il morbillo rappresenta ancora un'epidemia difficile da debellare, si prevede che la popolazione aumenterà del 29% nei prossimi anni. Un incremento che, unito alla diffusa povertà e alle scarse possibilità di miglioramento del tenore di vita (non è un segreto che solo un'esigua parte della popolazione africana ha accesso all'istruzione e, di conseguenza, a un buon lavoro), poterà, come sostengono gli scienziati, a conflitti e instabilità, nonché - mi sentirei di aggiungere - a una povertà sempre più radicata e diffusa e a condizioni di vita sempre più drammatiche.
Ma evidentemente l'Africa non fa notizia, meglio non darle e non sentirle queste notizie. Fa più audience festeggiare il 7 miliardesimo abitante della Terra piuttosto che ricordare che ci sono parti del mondo (non solo l'Africa ma anche alcuni Paesi asiatici e sudamericani) che in cui la gente lotta quotidianamente con il problema della fame. E' più facile celebrare una vita che sboccia piuttosto che sottolineare come da decenni si cerca di affrontare senza successo la piaga della povertà. Meglio propinare agli italiani liete immagini di bimbi in fasce che strillano al mondo il loro primo vagito, piuttosto che di bambini scheletrici con le pance gonfie e le mosche negli occhi, vero giornalisti?
Per fortuna, al mondo c'è anche chi tratta la notizia dei 7 miliardi da un punto di vista più serio, mettendo in luce le vere problematiche e contraddizioni del nostro pianeta: il National Geographic, ad esempio, propone un video che reputo molto interessante (in lingua inglese).

lunedì 31 ottobre 2011

Leggere è una spocchieria dolcissima

Leggere: la mia più grande passione. Da che ho memoria, ho sempre letto un mucchio di libri: per svago, per piacere, per divertimento, per obbligo. In italiano, inglese, tedesco e francese. A scuola, all'università, in metro, in treno, sull'autobus: sulla mia (disordinatissima) scrivania e nella mia (altrettanto disordinata) borsa non sono mai mancati i libri. Ho sempre avuto la necessità di leggere e scrivere, un'esigenza che si è trasformata - fortunatamente per me - in professione.
Qui di seguito uno stralcio tratto dal capolavoro Castelli di rabbia di Baricco, in cui la passione per la lettura è descritta in maniera poetica ed efficace. D'altronde, Baricco è un maestro della parola...
Questo è importante, e sempre bisognerà ricordarlo, e tramandarlo, di volta in volta, da malato a malato, come un segreto, il segreto, che non sfumi mai nella rinuncia di nessuno o nella forza di nessuno, che sopravviva sempre nella memoria di almeno un’anima sfinita, e lì suoni come un  verdetto capace di far tacere chicchessia: lèggere è una spocchieria dolcissima. Chi può capire qualcosa della dolcezza se non ha mai chinato la propria vita, tutta quanta sulla prima riga della prima pagina di un libro? No, quella è la sola e più dolce custodia di ogni paura - un libro che inizia. Così che, insieme a migliaia di altre cose, cappelli, animali, ambizioni, valigie, soldi, lettere d’amore, malattie, bottiglie, armi, ricordi, stivali, occhiali, pellicce, risate, sguardi, tristezze, famiglie, giocattoli, sottovesti, specchi, odori, lacrime guanti, rumori - insieme a quelle migliaia di cose che già sollevavano da terra e lanciavano a velocità prodigiose, quei treni che rigavano avanti e indietro il mondo come ferite fumanti si portavano dentro anche la solitudine impagabile di quel segreto: l’arte di leggere. Tutti quei libri aperti, infiniti libri aperti, come finestrelle aperte sul dentro del mondo, seminate su un proiettile che offriva allo sguardo, solo si avesse avuto il coraggio di alzarlo, lo sfavillante spettacolo del mondo di fuori. Il dentro del mondo e il mondo di fuori. Il dentro del mondo e il mondo di fuori. Il dentro del mondo e il mondo di fuori. Alla fine finisce così, che in un modo o nell’altro, ancora una volta, si sceglie il dentro del mondo, mentre tutt’intorno ti sferraglia la tentazione di farla finita una buona volta e di rischiare a vederlo, questo mondo di fuori, cosa sarà mai, possibile che sia davvero così pauroso, possibile che non se ne andrà mai questa vigliacca paura di morire, di morire, morire, morire, morire, morire, morire? 
[Alessandro Baricco, Castelli di rabbia]

Vampires: A biting passion

Ebbene sì, anche io come moltissimi in Italia e nel mondo ho ceduto al fascino della serie TV The Vampire Diaries, arrivata ora alla sua terza stagione. Quest'anno però, oltre a seguire le vicende di Damon, Stefan & Co., aspettando con trepidazione tutta la settimana per gustarmi la nuova puntata del venerdì, ho scelto di tenere una rubrica in cui commento, insieme alla fidata Kitty, le peripezie dei nostri beniamini. Con mia grande sorpresa, "Cronaca a due voci" - così si chiama la rubrica ospitata dal sito The Vampire Diaries Lovesta riscuotendo nel suo piccolo un discreto successo: può vantare un numero (seppur esiguo) di affezionati lettori che dimostrano di apprezzare i nostri articoli, dicendosi d'accordo oppure in disaccordo con le nostre opinioni e dando vita a dibattiti molto interessanti.


Qui potete leggere l'articolo di questa settimana. Enjoy!



Il mio primo blog

E' da qualche giorno che nella testa mi frulla l'idea di un blog. Uno spazio tutto mio sulla rete. Uno spazio in cui condividere pensieri e scrivere in libertà. Una sorta di diario, dove raccogliere articoli, foto, immagini e parole. Insomma, uno spazio da riempire come mi va. Senza pretese e senza alcuna logica, se non quella dettata dal mio umore.