domenica 27 gennaio 2013

Calvino, Le città invisibili #2


A Cloe, grande città, le persone che passano per le vie non si conoscono. Al vedersi immaginano mille cose uno dell’altro, gli incontri che potrebbero avvenire tra loro, le conversazioni, le sorprese, le carezze, i morsi. Ma nessuno saluta nessuno, gli sguardi s’incrociano per un secondo e poi si sfuggono, cercano altri sguardi, non si fermano.
Passa una ragazza che fa girare un parasole appoggiato alla spalla, e anche un poco il tondo delle anche. Passa una donna nerovestita che dimostra tutti i suoi anni, con gli occhi inquieti sotto il velo e le labbra tremanti. Passa un gigante tatuato; un uomo giovane coi capelli bianchi; una nana; due gemelle vestite di corallo. Qualcosa corre tra loro, uno scambiarsi di sguardi come linee che collegano una figura all’altra e disegnano frecce, stelle, triangoli, finché tutte le combinazioni in un attimo sono esaurite, e altri personaggi entrano in scena: un cieco con un ghepardo alla catena, una cortigiana col ventaglio di piume di struzzo, un efebo, una donna-cannone. Così tra chi per caso si trova insieme a ripararsi dalla pioggia sotto il portico, o si accalca sotto un tendone del bazar, o sosta ad ascoltare la banda in piazza, si consumano incontri, seduzioni, amplessi, orge, senza che ci si scambi una parola, senza che ci si sfiori con un dito, quasi senza alzare gli occhi.
Una vibrazione lussuriosa muove continuamente Cloe, la più casta delle città. Se uomini e donne cominciassero a vivere i loro effimeri sogni, ogni fantasma diventerebbe una persona con cui cominciare una storia d’inseguimenti, di finzioni, di malintesi, d’urti, di oppressioni, e la giostra delle fantasie si fermerebbe.

giovedì 24 gennaio 2013

Essere A. #7

Ad A. pare incredibile come le basti leggere il nome di una città esotica per farla viaggiare lontano. La mente le dipinge davanti agli occhi paesaggi d'incanto, che quasi si accavallano e si fondono in un unico stupore. Le terrazze assolate nei pomeriggi greci, il cui bianco abbacinante è quello delle coltri di neve nei silenziosi boschi svedesi, dove il verde intenso delle conifere contrasta con quello più sbiadito delle pianta caraibiche battute dal sole, i cui fiori però hanno lo stesso colore dei tramonti passionali nel cuore dell'Africa.

«Mi sento così in gabbia in questa vita?».
 

sabato 19 gennaio 2013

Essere A. #6

A. spinge con forza il cancello arrugginito, quasi nascosto dalla siepe fitta. Si ritrova in un parco: al centro un lago di luce, più lontana una villa. Sente sulle gambe il solletico delle fusa di un gatto, grigio e signorile, sul viso invece le carezze calde del sole. «Avremo una villa»: V. è al suo fianco. Le sorride, ora è V. ad accarezzarla. A. stinge gli occhi per vedere meglio la casa in lontananza. «Avviciniamoci»: dice V. A. prende a camminare. Dietro di lei i passi del gatto.

Euneirofrenia significa “pace della mente dopo un bel sogno”.


domenica 13 gennaio 2013

Calvino, Le città invisibili

       Marco Polo immaginava di rispondere (o Kublai immaginava la sua risposta) che più si perdeva in quartieri sconosciuti di città lontane, più capiva le altre città che aveva attraversato per giungere fin là, e ripercorreva le tappe dei suoi viaggi, e imparava a conoscere il porto da cui era salpato, e i luoghi familiari della sua giovinezza, e i dintorni di casa, e un campiello di Venezia dove correva da bambino.
A questo punto Kublai Kan l’interrompeva o immaginava di interromperlo, o Marco Polo immaginava d’essere interrotto, con una domanda come: -Avanzi col capo voltato sempre all’indietro? – oppure: - Ciò che vedi è sempre alle tue spalle? – o meglio: - Il tuo viaggio si svolge solo nel passato?
Tutto perché Marco Polo potesse spiegare o immaginare di spiegare o essere immaginato spiegare o riuscire finalmente a spiegare a se stesso che quello che lui cercava era sempre qualcosa davanti a sé, e anche se si trattava del passato era un passato che cambiava man mano egli avanzava nel suo viaggio, perché il passato del viaggiatore cambia a seconda dell’itinerario compiuto, non diciamo il passato prossimo cui ogni giorno che passa aggiunge un giorno, ma il passato più remoto. Arrivando a ogni nuova città il viaggiatore ritrova un suo passato che non sapeva più d’avere: l’estraneità di ciò che non sei più o non possiedi più t’aspetta al varco nei luoghi estranei e non posseduti.
Marco entra in una città; vede qualcuno in una piazza vivere una vita o un istante che potevano essere suoi; al posto di quell’uomo ora avrebbe potuto esserci lui se si fosse fermato nel tempo tanto tempo prima, oppure se tanto tempo prima a un crocevia invece di prendere una strada avesse preso quella opposta e dopo un lungo giro fosse venuto a trovarsi al posto di quell’uomo in quella piazza. Ormai, da quel suo passato vero o ipotetico, lui è escluso; non può fermarsi; deve proseguire fino a un’altra città dove lo aspetta un altro suo passato, o qualcosa che forse era stato un suo possibile futuro e ora è il presente di qualcun altro. I futuri non realizzati sono solo rami del passato: rami secchi.
-Viaggi per rivivere il tuo passato? – era a questo punto la domanda del Kan, che poteva anche essere formulata così: - Viaggi per ritrovare il tuo futuro?
E la risposta di Marco: - L’altrove è uno specchio in negativo. Il viaggiatore riconosce il poco che è suo, scoprendo il molto che non ha avuto e non avrà.

Italo Calvino, Le città invsibili

[Così come il Kublai Kan che, seduto nella sua reggia, ascolta attento i racconti di Marco, mi lascio trasportare anch'io fuori dai confini del mio mondo conosciuto e immagino città e viaggi, incredibili e belli.]

giovedì 10 gennaio 2013

Essere A. #5

Seduta al tavolino di un bar del centro, A. non riesce a non penare a quelle e-mail. Le rivelano che l'uomo che aveva frequentato per alcuni mesi aveva avuto altre donne, tutte - come lei - convinte di essere le uniche. «Se quel verme fosse donna, sarebbe una troia bella e buona». Si chiede quale sia il corrispettivo maschile di "troia", ma giunge alla conclusione che forse nemmeno esiste. La lingua che riflette il maschilismo della società.
Il caffè è amaro e bollente. Al contrario del dessert di dolce vendetta che A. vuole cucinarsi: lo preparerà con la crudeltà di una mantide e, quando sarà pronto, sarà appagante come una grossa fetta di torta alla panna dopo un mese di dieta. O forse no, non ci sarà bisogno di vendetta: c'è solo miseria nel destino di un vecchio Scrooge che non sa redimersi.

martedì 1 gennaio 2013

Pensiero metropolitano #17


Un botto sordo, poi un altro e un altro ancora. Dalla terrazza addobbata a festa, stretti nei cappotti, guardiamo cielo. Esplosioni di colori scintillanti ci riverberano negli occhi colmi dello stupore dei fanciulli. Ci abbracciamo: il nuovo anno è arrivato.

Un botto sordo, poi un altro e un altro ancora. Qualcuno si raggomitola dietro un brandello di muro, si tappa le orecchie, serra gli occhi. Il cuore martella il petto, nessun pensiero riempie la mente. Solo esplosioni rosse di sangue, nere di terrore. Ieri come oggi: non c’è anno nuovo in guerra.

Buon 2013.