martedì 27 novembre 2012

Essere A. #3


Il padre di A. non esprime i suoi sentimenti. Mai. Li tiene dentro. Segregati. A volte però si scioglie.
«Io ci sarò sempre. Tranquilla, le spalle te le copro io». A. capisce che lui la vede ancora come la bambina di un tempo, la bambina che cadeva mentre andava in bici e lo cercava con lo sguardo perché l’aiutasse a rialzarsi, la bambina che voleva atteggiarsi da grande ma non arrivava all’ultimo ripiano della libreria e allora lo guardava e lui capiva subito che doveva prenderle quel grosso libro di foto.
A. si sente una funambola alle prime armi, che ondeggia insicura a metri di altezza, ma ora sa che se perderà l’equilibrio cadrà dritta tra le braccia del suo papà, già pronto a prenderla. E gli occhi le si gonfiano di lacrime.

martedì 20 novembre 2012

Essere A. #2

«Non mi chiedi più di uscire perché hai molto lavoro o perché ho fatto qualcosa che non va?» A. prende il coraggio a due mani e glielo chiede.
«No, figurati. È che sto attraversando un momento complicato».
«Capisco. Quindi è meglio se ti lascio in pace?» A. teme la risposta. Non è scontato che lui dica qualcosa, capita spesso che lui preferisca restare in silenzio. E una parte di A. si augura che lui ora non risponda, almeno lei potrà sperare ancora un po’.
Ha troppa paura di essere messa da parte. Anche questa volta.

mercoledì 14 novembre 2012

Pensiero metropolitano #15



«Quando arriverò a una certa età, vorrò solo godermi la vita: viaggiare, conoscere gente, avere un sacco di hobby».
«Ma cosa dici? La vita te la devi godere oggi, perché a ottant’anni sarai decrepito e ancora più rincoglionito di adesso».
Ho riso di gusto. L’uno, alticcio dopo l’ennesimo flute di champagne, filosofeggiava sul tramonto dell’esistenza; l’altro, zitto da un po’, gli occhi fissi sulle bollicine che risalivano il bicchiere, ha sfoderato d’un tratto tutto il suo cinismo. Ho riso. Forse per quel tono brusco inaspettato. Forse perché non poteva prospettargli un futuro peggiore.

Finita la festa esco all’aperto e l’aria fresca mi sveglia dal torpore dell’alcol. La vita te la devi godere oggi: mi vengono in mente i nonni, morti di vecchiaia. Gli ultimi anni non sono stati certo rosei per loro, dannata salute. Mi rendo conto che quello che avevo tacciato come cinico umorismo non era che senso della realtà. «Man mano il corpo si deteriora» penso. Il passo si fa sempre meno svelto, il cuore meno vigoroso, le ossa meno massicce. Lo spirito conta, le passioni contano, certo, ma cosa se il corpo non sta più al passo con la mente? Che si prova allora, imprigionati in un corpo usurato da tanti anni di vita? Tristezza, magari rassegnazione. La voglia di fare che lotta invano contro l’impotenza di fare.
Si dice che nella vecchiaia si viva dei ricordi accumulati con minuzia, come tesori messi da parte per essere più tardi riscoperti. Non so se è vero e pur sforzandomi non riesco a immaginare come sarà la mia vecchiaia. «È troppo presto» mi dico e decido di seguire il consiglio di quell’uomo.

La vita te la devi godere oggi: mi sembra una cosa saggia. Ma, forse, questi sono solo i pensieri di un'ubriaca.

domenica 11 novembre 2012

Essere A. #1


«Non è colpa mia. P., te lo giuro, stavolta non ho fatto nulla» A. si tormenta le dita con le unghie. Lo fa sempre quando è agitata.
«Lo so. Non sto parlando di atteggiamenti volontari. Mi riferisco ai segnali che invii agli altri. Segnali inconsci». Seduto sulla poltrona, proteso in avanti, i gomiti puntati sulle ginocchia.
«Segnali inconsci? Ma quali? Io non ho fatto nulla. Mi sono solo lasciata baciare sulle labbra. Fine. Lui voleva proseguire, ma io non ho voluto. Non è successo altro» A. si sente nelle sabbie mobili: qualsiasi movimento faccia, qualsiasi decisione prenda, continua ad affondare.
«Quindi lui ti ha baciata e poi ha espresso il desiderio di fare l’amore con te?».
«Sì». La storia che si ripete. Ogni volta è così per A.: un ragazzo dolce e gentile si dice preso da lei, ma alla fine quel che gli interessa è solo averla.
«Sai, il fatto è che non avresti dovuto creare l’occasione, non avresti dovuto dare inizio ad alcun tipo di interazione erotica».
«Cosa? P., come? È stato lui a baciarmi. Io non ho fatto nulla, davvero» A. fatica a trattenere le lacrime. Abbassa lo sguardo e vede del sangue sull’indice. D’istinto, infila il dito in bocca.
«Fammi vedere che ti sei fatta» P. tende la mano, lo sguardo rassicurante e le labbra inarcate in un caldo sorriso.
«P., aiutami. Ho paura. Paura che nessuno riesca ad amarmi».

domenica 4 novembre 2012

La bambola, Daphne du Maurier

E non inganno che me stesso quando dico che lei sarebbe venuta da me. Non la seguii perché sapevo che non vi era speranza. Non mi avrebbe mai amato - e mai amerà qualcuno.
A volte mi capita di pensarci in modo spassionato e provo pietà per lei. Manca così tanto - così tanto - e nessuno saprà mai la verità. Com'era la sua vita prima che la conoscessi, com'è ora?
Rebecca - Rebecca, quando penso a voi, il volto pallido e serio, i grandi occhi fanatici da santa, la bocca sottile a nascondere i denti, aguzzi e bianchi come l'avorio, e l'aureola di capelli selvaggi, elettrici, scuri, fuori controllo - mai è esistita qualcuna di più bella. Chi potrà conoscere il vostro cuore, chi la vostra mente?
Intensa, compunta, senz'anima; sì, dovete certo essere senz'anima per aver fatto quel che avete fatto. Possedete quel dono fatale che è il silenzio - quel severo contegno che suggerisce un fuoco nascosto - un fuoco che brucia implacato. Cosa non ho fatto con voi nei miei sogni, Rebecca?
Sareste fatale a ogni uomo. Una scintilla che s'accende ma non bruccia, una fiamma che ravviva altre fiamme.
Cosa amavo in voi se non l'indifferenza e quel che essa cela?
Vi amai troppo, vi volli troppo, provavo per voi un affetto troppo grande. E ora tutto ciò è come una radice contorta che affonda nel mio cuore, un veleno mortale per la mia mente. Mi avete reso folle. Mi pervadete di un tale orrore, di un odio devastante che è simile all'amore - una fame che è nausea. Se solo riuscissi a essere calmo e lucido per un istante - un istante solo...

[Traduzione di Annie and the cherry(c), brano tratto da The Doll, racconto dell'orrore di Daphne du Maurier che potete leggere qui]

Claude Buck, Seated Woman with Violin.