martedì 26 febbraio 2013

Essere A. #10

A. lo guarda con attenzione. Scruta ogni suo gesto. Il movimento delle sue labbra la incanta, le espressioni del suo viso la affascinano. Starebbe lì a osservarlo per ore. E mentre lo osserva, pensa a quel che sarebbe potuto essere tra loro, quel gioco un po' dissacrante iniziato tempo fa e poi abbandonato. 
«Oramai è tutto finito» si dice A. e, non vista, scivola fuori dal locale.
 

sabato 16 febbraio 2013

In sickness and in health


Immagino una chiesa piccola e dall’aspetto antico. Tutt’intorno i grattacieli, alti da far venire il capogiro. La chiesa è deserta, la luce del mattino entra dai vetri colorati delle monofore. Al primo banco della navata, una bimba indica alla mamma quelle sfumature colorate che, tremule, sembrano inseguirsi sul pavimento. La mamma la tiene in braccio, le labbra sfiorano il viso paffuto della piccola e le bisbigliano di guardare verso l’altare. Perché all’altare, di fronte al pastore vestito a cerimonia, c’è l’altra sua mamma, raggiante di bellezza e felicità, come tutte le donne nel giorno in cui indossano il vestito bianco. Di fianco a lei il suo uomo, elegante e distinto. Emozionato più della sua sposa. Gli occhi che brillano, cerca la mano di lei, le sfiora le dita. Lei volta il capo verso di lui, sorride. «I love you» gli dice. In inglese. In fondo lui la sta sposando a New York. 



lunedì 11 febbraio 2013

Essere A. #9

A. non sopporta il trillo del telefono. Il suo cellulare vibra, nascosto tra le coperte. Lei sente solo un movimento vicino al piede. Allunga la mano: un messaggio. Lo legge e un ricordo riemerge di prepotenza dall'apnea in cui la sua mente lo aveva costretto. Rieccolo lì, quel ricordo, spaventoso e grondante di sangue. E vivo, vivo come mai, nonostante A. avesse tentato di ucciderlo, soffocandolo. No, tutto inutile: quel ricordo se ne sta lì e la fissa negli occhi, un ghigno beffardo: «Non finirà mai» sembra dirle. A. trema, il cuore le batte forte, le mani sudate, scaraventa il telefono il più lontano da lei.


Non finirà mai.



lunedì 4 febbraio 2013

Essere A. #8


«Devo affrontare questa cosa da sola, lo capisci, sì?». In piedi di fronte alla panchina di marmo, A. alza la voce.
«Non urlare. E non sei sola». C. se ne sta seduto sulla spalliera della panchina, i gomiti appoggiati sulle ginocchia, lo sguardo rivolto a terra.
«Lo so, ci sei tu». A. ha voglia di piangere. Si sente confusa, frastornata dagli eventi che le affollano i pensieri di giorno e i sogni la notte. «Ho paura che sia un’illusione». Gli occhi le bruciano per lo sforzo di respingere le lacrime.
«Smettila di frignare, cazzo». C. si toglie la sigaretta di bocca, si alza e prende A. per le spalle. La scuote: «Smettila di essere debole. Non puoi permettertelo. Devi restare lucida». C. la fissa. Le sue parole le perforano la mente. Come sempre. E come sempre, lui ha ragione.
«Ti voglio bene» gli dice. «Anche se ti ostini a mettere sto profumo del cavolo».