martedì 18 settembre 2012

Tabucchi, Il tempo invecchia in fretta

E allora le sentì, le gocce. Cominciarono con un rumore sordo e sotterraneo, come se venissero dal pavimento o dalla parete: clof, clop, cloffete, cloppete, clof, clop, cloffete, cloppete. Gli raggiunsero l'interno del cranio ma senza risuonare, urtavano contro il cervello ma non avevano eco, ognuna era precisa come uno schiocco che colpisce e scompare per dare subito spazio allo schiocco seguente, apparentemente simile allo schiocco precedente, ma in realtà con un timbro diverso, come quando comincia a piovere sulla riva di un lago e se ci presti orecchio ti accorgi che c'è una variazione di suono da goccia a goccia, perché la nuvola non fa le gocce tutte uguali, alcune sono più grosse e altre sono più piccole, è questione di prestare orecchio: clof, clop, cloffete, cloppete, anch'esse secondo una loro scala musicale, suonavano così, e dopo essere arrivate in sordina all'interno del suo cranio cominciarono a crescere d'intensità a tal punto che le sentì scoppiare dentro la testa come se la sua scatola cranica non potesse più contenerle, e poi evadere attraverso le orecchie per deflagrare nello spazio circostante, come campane impazzite le cui onde sonore crescevano fino allo spasimo. E allora, per sortilegio, quasi che il suo corpo fosse una calamita capace di attirare le onde sonore, sentì che a sciame si dirigevano verso di lui, ma non più nel cervello, nelle vertebre, in un punto preciso, come se le sue vertebre fossero il pozzo d'acqua dove il cavo del parafulmine scarica la saetta. E sentì anche che proprio in quel punto, spengendosi, esse squarciavano la cappa che la notte imponeva sul mondo, laceravano la sua presenza. Le fessure delle persiane cominciarono a impallidire. Era l'alba.


Antonio Tabucchi, Il tempo invecchia in fretta

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