lunedì 8 ottobre 2012

Pensiero metropolitano #12

Sento fresco alle gambe. Che goduria. Caldo invece sul resto del corpo - ma perché ho sempre caldo? La minigonna mi lascia scoperte le gambe. Sono seduta e ho caldo, la tiro un po' più su. E' di jeans, a pieghe. Simile a quella delle scolarette manga.
«Quelle che si mettono la gonna corta, lo stupro se lo cercano»: mi torna in mente quella donna di mezza età in metro che, tempo fa, lanciandomi occhiate furtive, sembrava non avere altro argomento di discussione con la sua amica che non fosse il mio abbigliamento. Oppure: «Se tu ragazza ti metti la mini, è chiaro che hai voglia di farlo» ho sentito un’altra volta da un uomo. Forse nella tua mente perversa, avrei voluto rispondergli.
Più che le parole del maschio deviato, mi fanno specie quelle della donna. Lei, che dovrebbe aberrare lo stupro. Lei, che dovrebbe sentirsi male solo all’idea che venga usata la violenza per estorcere l’intimità di una giovane. Lei che, tutt’al contrario, quasi giustifica una sorta di “violenza punitiva”: tu mostri le gambe, le curve dei polpacci e le linee delle cosce?, bene, allora il castigo te lo meriti. Con buona pace delle lotte di ieri e di oggi per le libertà femminili. Mi chiedo se riusciremo mai a raggiungere l’emancipazione di cui tutte parliamo. Non tanto quella sancita sulla carta che, tra belle parole e vuote retoriche, tutte condividiamo, ma piuttosto – e soprattutto – quella più difficile da ottenere: l’emancipazione impressa, quale parte costitutiva, nella nostra Weltanschauung. E quando dico “nostra” intendo “di noi donne”. Perché, molto spesso, il vero ostacolo alla nostra libertà siamo proprio noi.



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