venerdì 28 dicembre 2012

Essere A. #4

La natura aveva attribuito a Julie il ruolo della bella donna. Prima il bel neonato, poi la bambina radiosa, l’adolescente incomparabile e infine la bella donna. Questo le creava come un vuoto attorno: la distanza dell’ammirazione. Appena la vedevano, si ritraevano, per quanti fossero. Ma la distanza era resa elastica dal desiderio di avvicinarsi, di sentire l’odore di quel corpo, di penetrare l’alone di quel calore, di toccarla insomma. Erano attratti e tenuti a distanza. Julie conosceva da sempre la sensazione di vivere al centro di uno spazio pericolosamente elastico, costantemente teso. Pochi avevano osato penetrare in quel cerchio. Eppure non era una donna altera, aveva soltanto acquisito molto presto lo sguardo delle persone molto belle: uno sguardo senza preferenze.

A. chiude il libro. Si chiede se questo valga anche per lei. Immobile al centro del cerchio di fuoco, e quei pochi che provano a balzarvi dentro si ritraggono, ustionati. Il suo sguardo senza preferenze – sarà poi alieno da preferenze il suo sguardo? ad A. non sembra, predilige alcuni, rifugge altri – si posa su quel pacchettino rosso sormontato da un fiocco color dell'oro. «Ecco un altro ustionato» si sorprende a dire ad alta voce. Ripensa a M.: non ha voluto ricevere il regalo che gli aveva preparato. Cioccolatini, fatti da lei, una sua specialità. Dolci Baci si chiamano: ironia della sorte. «Se non mi vuole non posso farci nulla» si dice. Ora basta. Cercherà di dedicarsi a chi si sforza di starle accanto.

«Pronto, ciao P., sono io. Ti va di passare per un caffè oggi pomeriggio? Ho fatto i cioccolatini.»



[Il brano è tratto da Daniel Pennac, La prosivendola. Vi consiglio di leggerlo, ma in francese se potete. Il testo italiano contiene certi orrori ortografici e, a volte, un brutto traduttese.]

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